È sicuramente uno dei personaggi più famosi ed emblematici del Messico recente, donna divenuta simbolo di forza e fierezza per via della sua vita costellata di sofferenze e personali battaglie.
Nata nel 1907, la mattina del 6 luglio, dichiarava spesso di essere del 1910, non per togliersi degli anni, ma perché si sentiva figlia della rivoluzione, quella rivoluzione che portò alla fine la dittatura di Porfirio Díaz.
Affetta fin da bambina da poliomelite (alcune fonti parlano di spina bifida, una malformazione della spina dorsale, altre di tumore bianco, una forma di tubercolosi ossea), crebbe con la gamba destra vistosamente più piccola dell’altra e il piede deformato, tanto che a scuola dovette subire la crudeltà degli altri bambini che la chiamavano “gamba di legno”. A 18 anni fu vittima di un grave incidente che condizionerà la sua intera esistenza (e quella di tutti coloro che le gravitavano attorno), costringendola dapprima a rimanere ferma a letto per un lungo periodo, passando in seguito alla sedia a rotelle, poi a dover utilizzare continuamente dei busti ingessati o di cuoio, terminando con l’amputazione di una gamba, un anno prima di morire.
Frida mostrò di avere un’indole creativa fin da giovanissima, unitamente ad un carattere anticonformista che la spingeva ad infrangere schemi e regole in ogni contesto e situazione. Prima dell’incidente, però, non pensava assolutamente di dedicarsi all’arte, il suo sogno era diventare un medico e per questo si iscrisse alla Escuela Nacional Preparatoria, dove si contavano solo 35 studentesse in mezzo agli oltre 2000 studenti.
Passionale e vivacissima, durante il periodo studentesco si unì ad un gruppo di suoi compagni detti Cachuchas, ribelli e indisciplinati, politicamente schierati, sostenitori del socialismo nazionale, nonché appassionati di letteratura e così anche le lotte e le iniziative politiche la accompagneranno fino alla fine dei suoi giorni (come militante comunista).
Il grave incidente di cui fu vittima avvenne il 17 settembre del 1925, mentre insieme proprio ad uno dei Cachuchas, Alejandro di cui era innamorata, viaggiava a bordo di un autobus per tornare a casa dopo la scuola. L’autobus entrò in collisione con un tram rimanendo schiacciato contro un muro, andando in mille pezzi e causando alla futura pittrice gravissimi danni fisici, alcuni dei quali irreparabili: la sua colonna vertebrale si spezzò in tre punti, riportò varie fratture alle costole, la gamba sinistra riportò 11 fratture, il piede risultò slogato e schiacciato, si lussò la spalla sinistra e l’osso pelvico si spezzò anch’esso in tre punti. Come se non bastasse, un’asta dell’autobus (probabilmente un corrimano) si spezzò conficcandosi nel suo corpo, squarciandole un fianco per uscire poi dalla vagina.
Quest’ultimo, in mezzo a tutti gli altri, fu probabilmente il danno fisico (ma anche psicologico) peggiore che potesse subire in quanto decretò per lei la totale impossibilità di avere figli, cosa che la farà soffrire enormemente e le sue opere più intime e struggenti raccontano proprio il dolore delle gravidanze mai giunte al termine (furono vari i suoi aborti).
I lunghi periodi che la videro costretta ferma a letto, le diedero modo di buttarsi a capofitto nella lettura e nella pittura. Le furono regalati due letti (uno sistemato nella zona notte, l’altro nella zona giorno) realizzati con una struttura tipo a baldacchino provvisti nella parte alta (quella di fronte a lei dunque) di uno specchio nel quale poteva vedersi riflessa e in questo modo auto-ritrarsi.
Gli auto-ritratti saranno infatti un tema ricorrente nella sua produzione artistica.
Numerosi libri, film e documentari, nel corso degli anni hanno cercato di raccontare la vita fuori dal comune di questa artista, solo recentemente rivalutata.
La sua esistenza fu una tempesta continua (non solo a causa dell’incidente e dei problemi di salute), un turbinio di animosità, creatività, passione e partecipazione alla vita di quel Messico così vivo, mosso da ideali e princìpi socio-politici che si riflettevano nel panorama artistico.
La militanza all’interno del partito comunista le fece conoscere Julio Antonio Mella, un cubano esiliato in Messico, all’epoca fidanzato con la fotografa italiana Tina Modotti, grazie alla quale conoscerà quello che possiamo tranquillamente definire l’uomo più importante della sua vita: Diego Rivera, con il quale convolerà a nozze nel 1929.
Rivera all’epoca era già un noto pittore esponente di quella corrente chiamata muralismo, ovvero la rappresentazione di ideali e concetti spesso intrisi di messaggi politici, attraverso l’uso di enormi pitture murali realizzate sulle pareti di edifici pubblici e privati, commissionate da enti o da ricchi imprenditori (come ad esempio la famiglia Rockefeller).
I genitori di Frida non si mostreranno mai entusiasti del matrimonio, soprattutto la madre. Il padre seppe prendere la cosa con maggior filosofia, anche considerando che le loro risorse economiche erano ormai ridotte agli sgoccioli (soprattutto a causa delle costose cure mediche a cui la loro figlia dovette ricorrere in seguito all’incidente del ’25) e Rivera possedeva soldi a sufficienza per poter assicurare una stabilità sia alla sposa che alla sua famiglia in difficoltà.
La madre di Frida diceva che sembravano un elefante ed una colomba (lui 42 anni, quasi 190 centimetri di altezza per 136 chili, lei 22 anni, 160 centimetri e 44 chili).
L’incontro con Diego ebbe enorme importanza per la carriera artistica della sua nuova moglie (Frida era la terza). Fu lui ad incoraggiarla ad andare avanti con la pittura quando iniziava a muovere i primi passi ed aveva bisogno di un parere autorevole che la motivasse, inserì poi la sua figura in numerosi lavori divenuti celebri, che tutt’oggi possono essere ammirati, e tutto questo le permise di entrare a far parte di un circolo di personaggi e artisti di varia provenienza ed estrazione, allacciare amicizie importanti e trovarsi a contatto con illustri pensatori.
Fra questi ci furono León Trotsky, militare rivoluzionario e politico russo (comunista) che dopo varie peripezie si trovò a vivere esiliato in Messico, dove fu proprio Diego Rivera a volerlo ospitare, ed il poeta surrealista André Breton.
Quest’ultimo, dopo aver visto il suo quadro Lo que el agua me dio (Quello che l’acqua mi ha dato) la definì un’artista appartenente alla corrente del surrealismo, definizione che lei rifiutò fortemente, dichiarando: “Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni“.
E la sua realtà si traduceva in enormi sofferenze, continui interventi chirurgici che a causa delle tecniche poco ortodosse dell’epoca, spesso causavano infezioni andando ad aggravare le cose e producendo nuovi dolori e problemi.
Il suo stile pittorico, ritenuto molto moderno dallo stesso Diego, univa elementi della realtà che viveva ogni giorno (quindi perlopiù il suo corpo e le sue parti anatomiche, ma anche i familiari e i numerosi animali che teneva nel giardino di casa) ad oggetti e panorami che sembrano arrivare da mondi fantastici, incongruenti e scollegati fra loro, da qui l’accostamento al surrealismo. Il tutto mescolato con dettagli che si rifanno al folklore messicano (a lei molto caro), creando nel complesso atmosfere drammatiche ma allo stesso tempo grottesche, umoristiche e naïf.
Suoi grandi amici furono i coniugi Manuel Álvarez Bravo e Lola Álvarez Bravo, i due fotografi messicani probabilmente più importanti dell’epoca post-rivoluzionaria. Fu proprio Lola ad organizzare il 13 aprile del 1953, all’interno della galleria che gestiva, la prima mostra personale di Frida a Città del Messico, un anno prima che la pittrice morisse.
Questo evento è rimasto celebre perché Frida, in pessime condizioni di salute, si trovava nuovamente ferma a letto e i medici le avevano proibito di alzarsi così, caparbiamente, decise di far portare uno dei suoi letti nella sede della mostra caricandolo su un camion e lei lo seguì su un’ambulanza. Arrivati sul posto, fece scaricare il letto, si fece sistemare sopra e a braccia alcuni uomini la portarono dentro la galleria.
Quattro mesi dopo le amputeranno la gamba destra.
Anche la vita sentimentale di Frida, coerentemente con tutto il resto, fu travagliata e disobbediente ad ogni uso e costume. Non fu mai fedele (esattamente come mai seppe esserlo il marito Diego) ed ebbe numerose esperienze omosessuali intrattenendo relazioni con altre donne, tra queste la Modotti. Si dice che la militanza in politica l’attraesse molto anche per il fatto che in quell’ambiente si trovavano molte donne indipendenti ed emancipate (sotto tutti i punti di vista), proprio come lei.
Si circondò di numerosi amanti uomini (tra cui Trotsky, Breton, il fotografo Nickolas Muray, lo scultore Isamu Noguchi) e si separò da Diego Rivera quando, nell’estate del 1934, il marito sedusse Cristina, la sorella minore di Frida, iniziando con lei una relazione segreta. Si riavvicinarono, un anno più tardi, con l’accordo di vivere però in maniera indipendente l’una dall’altro.
L’8 dicembre del 1940 si risposarono, a San Francisco.
Di certo la loro storia è stata sempre condita da un grande amore reciproco che ha fatto da tappeto alle mille turbolenze nelle quali i due si sono sempre trovati e che nel tempo è cresciuto fino a renderli indispensabili vicendevolmente, nonostante i frequenti rancori.
La coppia Kahlo-Rivera dimorò principalmente in due abitazioni, la famosa Casa Azul di Coyoacán (oggi conosciuta come Museo Frida Kahlo, dove la pittrice è nata e morta) e la casa studio nella zona di San Angel (oggi Museo Casa Estudio Diego Rivera e Frida Kahlo), realizzata dall’architetto Juan O’Gorman e caratterizzata dal fatto di essere composta da due volumi separati, tinteggiato di rosso quello che alloggia lo studio di Diego, in azzurro la parte che era di Frida, collegati tra loro attraverso una passerella sul tetto. In questo modo entrambi potevano avere una propria esistenza indipendente scegliendo di vedersi quando ne avevano voglia o necessità.
Questo edificio è stato reso molto celebre da alcune scene del film Frida del 2002, in cui la pittrice è interpretata da Salma Hayek. E probabilmente proprio questo film ha giocato un ruolo fondamentale nel riportare la figura di Frida in auge e nel farla conoscere ad un’enorme fetta di pubblico, sebbene in una veste molto più scanzonata e romantica di quella che deve essere stata la sua esistenza.
Nel 1944 iniziò a tenere un diario in cui scriveva molte cose, gran parte delle quali erano parole d’amore per Diego (“Mai nella vita dimenticherò la tua presenza. Mi hai presa in frantumi e mi ha resa di nuovo intera, completa … Nome di Diego, nome d’amore“) ma l’ultima cosa che scrisse fu: “Espero alegre la salida y espero no volver jamás” (che tradotto significa “Spero che l’uscita sia allegra e spero di non tornare mai“, riferendosi ovviamente alla sua uscita di scena, ovvero la sua morte).
Frida Kahlo morì il 13 luglio del 1954, ufficialmente si parla di embolia polmonare ma si è ipotizzato possa essersi anche trattato di suicidio, viste le drammatiche vicende che l’hanno sempre accompagnata e considerato quest’ultimo pensiero conservato nel diario.
Diego Rivera decise che la Casa Azul di Coyoacán dovesse essere regalata al popolo messicano, le sue porte dovevano essere aperte al pubblico e tutti dovevano conoscere la vita, le passioni, il lavoro di sua moglie.
Affidò la gestione della cosa ad un’amica fidata, Dolores Olmedo, alla quale disse che una volta morto anche lui, la casa di Coyoacán avrebbe dovuto convertirsi in un museo pubblico con l’unica condizione di tenere ancora chiusa una delle stanze, un bagno, che avrebbero dovuto aprire solo allo scadere dei 15 anni dalla morte del pittore. Questi 15 anni sono poi diventati quasi 50 e solo nel 2004 (Diego è morto nel 1957) è stata aperta quella porta restituendo alla luce moltissimi documenti, fotografie, capi d’abbigliamento, libri, giochi, accessori e mille altre cose appartenute alla coppia.
Per poterli esporre tutti è stato necessario acquisire una porzione dell’edificio accanto, che non era parte dell’originaria Casa Azul, per allestire una nuova zona espositiva.
Fra i documenti ritrovati, c’è un piccolo disegno realizzato da Frida, uno schizzo in cui si auto-ritrae a figura intera, con una sorta di spaccato del suo abbigliamento che lascia intravedere i suoi drammi fisici (la gamba destra più magra e dritta come un palo, il busto che la sostiene, la spina dorsale rappresentata come una colonna).
Il disegno porta infatti la dicitura Las apariencias engañan (Le apparenze ingannano), che diventerà poi il titolo dell’esposizione.
Un titolo significativo che spiega quanta attenzione abbia sempre avuto la pittrice nel mascherare il proprio corpo martoriato e i difetti fisici, indossando pantaloni e ampie gonne che hanno creato uno stile divenuto caratteristico.
E non solo. Se notate le fotografie in cui compare, Frida non ride quasi mai, quando lo fa il suo sorriso è appena accennato e le labbra perlopiù sono chiuse. Questo perché nemmeno la sua bocca godeva di buona salute, i suoi denti erano in pessime condizioni e stava molto attenta a non mostrarli.
Frida è così diventata un simbolo di forza e fierezza, come ho scritto all’inizio, ma anche di stile e negli ultimi anni sta godendo di una fama di cui non ha potuto godere in vita, convertendosi (come è successo ad altri personaggi nel corso della storia) in un fenomeno che risponde al nome di moda e marketing, con la sua immagine che si trova stampata su abbigliamento, borse, tazze, oggetti di ogni genere.
Ma lei, in fondo, voleva solo coprire il suo corpo sfortunato e apparire normale.
A Coyoacán, l’elegante e tranquilla delegazione di Città del Messico, famosa soprattutto per essere stata la dimora di questo personaggio davvero unico, c’è un giardino pubblico a lei dedicato, il Parque Frida Kahlo appunto, dove una statua in bronzo la ritrae consentendoci di sognare per un attimo, di poterle stare accanto.
Io che sono appassionato di LEGO (e di Frida e di Diego, ovviamente) ho voluto rendere omaggio a queste due importanti figure della storia messicana, creando la mia piccola coppia Frida y Diego.